Ho 48 anni, sono nato e abito a Varese con Rossella e Renata. Organizzatore teatrale da venticinque anni, sono stato direttore del Teatro Verdi di Milano e, dalla sua nascita, della Fondazione Culturale di Gallarate. Insegno "Economia e management dello spettacolo dal vivo" all'Università Cattolica di Milano e sono autore di diverse pubblicazioni, che vertono in particolare sui nodi artistici, economici e organizzativi del teatro d'innovazione italiano, del teatro pubblico e del teatro ragazzi.
Ho sempre pensato che il lavoro culturale possa essere considerato "la politica condotta con altri mezzi". Ho praticato quotidianamente quest'idea nella mia professione per tanti anni, e ne sono ancora convinto. Ma "ai tempi del colera", ai nostri tempi, si ripropone con sempre maggior forza la necessità di un'inversione: la politica può essere "la cultura condotta con altri mezzi". Quanto più, cioè, la cultura diviene materia residuale, oggetto posto al margine del campo visivo dell'orizzonte progettuale della politica e dell'investimento pubblico tanto più - probabilmente - l'operatore culturale deve tornare ad avere la forza, la voglia e la responsabilità di intervenire direttamente in quell'universo, per tentare di orientarne e modificarne i processi.
Berlusconismo e leghismo hanno in questi anni portato alla luce, istituzionalizzato, legittimato, nobilitato o reso indifferenti alla percezione etico-civile ed al giudizio sottovalori e disvalori di cui, solo pochi anni fa, ancora un po' ci vergognavamo: dal dominio dell'apparire a quello del denaro, dall'egoismo alla furbizia, dalla disonestà all'intolleranza, dall'ingiustizia al razzismo, dall'ignoranza alla prepotenza. E non dipende solo dalla pervasività della televisione: si tratta dell'effetto congiunto di politiche condotte su più fronti (dal depauperamento della scuola ai tagli sulla ricerca e sulla cultura) il cui comun denominatore si può sostanzialmente sintetizzare nella riduzione progressiva della coscienza critica, etica, civile, politica e culturale della cittadinanza. In un sostanziale processo di complessiva analfabetizzazione civica, il cui effetto è la scomparsa degli anticorpi impliciti nella diffusione della cultura, dell'istruzione, del pensiero e della bellezza. In una parola: nella dissoluzione dell'idea di cittadinanza e del suo soggetto per la loro trasformazione in obiettivi e luoghi della manipolazione, della propaganda e della costruzione del consenso.
Da qui l'idea del primato della cultura - in senso ampio - come condizione per quell'idea di un mondo diverso in cui "è ancora tutto da fare". Senza una politica pubblica volta, con radicalità, ad una possibile ricostruzione di quel tessuto di sensibilità, conoscenza e di quel repertorio di strumenti di comprensione del mondo l'idea di cambiamento rimane poco più che una petizione di principio. Il cambiamento - se sarà possibile, quando sarà possibile - potrà muovere solo da una rinnovata, persistente, sistematica cura delle teste e delle anime, attraverso la proliferazione (e la difesa, la tutela, il finanziamento anche a discapito della cura dei tombini, della viabilità, dell'illuminazione stradale) di occasioni stabili, continuative ed accessibili di arricchimento culturale multidimensionale per l'intera cittadinanza, a partire dai bambini e dall'attenzione privilegiata delle politiche pubbliche loro indirizzate.
Sinistra Ecologia e Libertà è la sola forza politica in grado oggi di prefigurare a livello nazionale e locale orizzonti non asfittici, di ricollocare al centro dei programmi alcune ragioni fondative dell'essere di sinistra: l'uguaglianza sostanziale, i diritti, il lavoro e la difesa della sua dignità, la scuola, la salute, la casa, l'ambiente, la tutela e la promozione delle diversità, le politiche di Welfare, il primato del servizio pubblico. Verso il possibile disegno di un futuro oggi annientato nell'eterno presente della precarietà, della flessibilità, della volgarità umana e culturale.
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