Poi c'è quell'altra Italia; quella della partita IVA obbligata che scopre che, se si pagano le tasse, tante o poche che siano, nel famoso mercato non ci sta dentro, del piccolo imprenditore che ha sbagliato a calcolare l'Irpef nonostante abbia chiesto lumi 20 volte all'ufficio competente ed Equitalia gli porta via la casa con tutta l'IMU dentro, dell'ingegnere da 10 anni a rimborso senza paracadute, quella dell'imprenditore che esporta facendo entrare soldi freschi e gli serve che quando si siede al tavolo del cliente africano quello non gli dica "bunga bunga".
La prima Italia, non paga di aver truccato i conti spalmando i debiti sui bilanci dei figli e trasformando il territorio più delicato e prezioso d'Europa in una selva indistinta di terreni edificabili (prima) e già tutti edificati, raschia il fondo del barile sperando che la giostra torni a girare.
La seconda attende paziente, non si sa fino a quando, che qualcuno indichi dove indirizzare le suddette, scarse e rimanenti risorse; un piano industriale che ci consenta di fabbricare prodotti che poi si vendano, quale e quanta energia, come intercettare il miliardo di nuovi turisti potenziali dei paesi nuovi ricchi ed evitare di far fuori i fondi UE ad ogni temporale che si porta via mezza provincia.
Intanto, il mondo non smette di girare e mano a mano, la seconda Italia appare sempre più affollata.
La prima, almeno in tivù, resiste.
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