Nove su dieci
Un libro per capire perché stiamo (quasi) tutti peggio di 10 anni fa. E come si può cambiare
Quasi tutti gli italiani stanno peggio di dieci anni fa. Questo libro spiega quanti siamo – all’incirca nove su dieci – e perché siamo scivolati in basso in termini di reddito, condizioni di vita, disuguaglianze.
Spiega che cosa è successo nell’economia e nella politica, suggerisce
una via d’uscita. La scena, nel primo capitolo, è disegnata dalla
finanza e dall’Europa. Si ripercorre l’illusoria ascesa della finanza,
che ha portato al crollo del 2008 e alla recessione del 2012. E si
ripercorre la storia recente dell’integrazione europea, che ha portato
al mercato e alla moneta unica. Liberismo e finanza sono stati i
pilastri di un progetto europeo che ha dimenticato i problemi della
convergenza tra le economie, di come governare i mercati, di come
procedere con l’integrazione politica e mettere un po’ di democrazia
nella costruzione europea. Il risultato è stata la paralisi dell’Europa
di fronte alla crisi del debito pubblico (e privato) apertasi nel 2010
con le difficoltà della Grecia ed estesasi via via a Irlanda,
Portogallo, Spagna, Italia e altri paesi. Per l’insistenza della
Germania, l’Unione è oggi dominata da politiche di austerità che
rischiano di portare l’Europa a una nuova grande depressione.
La traiettoria italiana è al centro del secondo capitolo. Un declino
fatto di perdita di capacità produttiva, minore e peggiore occupazione,
salari più bassi. Siamo stati protagonisti del “miracolo” di far
diminuire per dieci anni la produttività del lavoro: non era mai
successo in un paese moderno. Facciamo sparire i capitali dalle imprese,
ignoriamo la ricerca e l’innovazione. In mercati più aperti, cerchiamo
di essere competitivi con i paesi emergenti abbassando i salari e
rendendo precario il lavoro. Vincolati dal cambio dell’euro, importiamo
di più ed esportiamo di meno, e finanziamo il deficit corrente con
afflussi di capitali che ci rendono ancora più fragili. In questo modo –
ed è un altro “miracolo” - la politica e l’economia italiana hanno
fatto crescere i profitti e le rendite più che in Europa. Redditi e
ricchezza si sono concentrati nelle mani di uno su dieci, come mostra il
terzo capitolo. Il reddito di uno dei 38 mila “straricchi” (lo 0,1% più
ricco del paese) vale oggi quello di cento poveri che rientrano nel 10%
più basso nella distribuzione. E la ricchezza di uno dei dieci più
ricchi d’Italia vale quanto quella di trecentomila tra i più poveri.
Nove su dieci sono invece i “perdenti”, divisi in mille modi – tra
uomini e donne, tra vecchi e giovani, tra italiani e immigrati, tra Nord
e Sud – ma uniti dall’impoverimento e dalla caduta delle prospettive. I
modi in cui questo è avvenuto sono molti e complessi: passano per i
cambiamenti nelle tecnologie e nella globalizzazione, per le “riforme”
del mercato del lavoro che hanno portato a salari più bassi e più
precarietà, per l’indebolimento dei sindacati e per i tagli nelle
politiche di redistribuzione. Come è potuto succedere tutto questo?
Togliere ai poveri per dare ai ricchi, rendere il lavoro più debole e il
capitale più forte è da trent’anni l’orizzonte del liberismo, e
nell’Italia del berlusconismo (ma anche dei governi di centro-sinistra)
questi sono stati i risultati. Per un’economia fragile come la nostra,
lasciar fare ai mercati ha voluto dire innescare un circolo vizioso dopo
l’altro.
Capitali che non investono, settori avanzati che scompaiono insieme
ai “buoni” posti di lavoro, produttività che cade quando si diffonde il
lavoro precario pagato poco, la crescita che scompare. Sul fronte
estero, una competitività in discesa, i conti in rosso e un potere
crescente di grandi imprese straniere e finanza globale. Nei conti
pubblici, l’ossessione di ridurre le imposte e la tolleranza per
un’evasione fiscale record (con un condono dietro l’altro) hanno portato
a nuovi deficit e a maggior debito pubblico; con l’emergenza del 2011
si sono imposte politiche di austerità che richiedono nuove strette
fiscali e aggravano la recessione. In questo, il governo “tecnico” di
Mario Monti non si discosta dalle traiettorie delle politiche economiche
passate. In questi anni abbiamo visto – in Italia e in Europa – un
ulteriore “miracolo”: una politica che tutela i privilegi di pochi – uno
su dieci – ma riesce ad avere abbastanza consenso da vincere le
elezioni, anche nel mezzo di crisi e recessione, spostando l’Europa
ancora più a destra.
E’ il blocco sociale della depressione, che si irrigidisce nel
liberismo più ideologico, alimenta nazionalismi e razzismi, minaccia di
lacerare l’Europa come negli anni trenta. Ci meritiamo un altro futuro:
evitare una grande depressione, costruire un benessere sostenibile,
avere un’economia più giusta. Il quarto capitolo propone questa via
d’uscita, partendo dalle proposte, esperienze e pratiche che si sono
moltiplicate in Italia e in Europa. Serve una nuova politica, un blocco
sociale che unisca i nove su dieci, un progetto alternativo di egemonia,
un programma di politiche che facciano cambiare strada all’economia.

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