Mentre la crisi continua a mietere vittime e i mercati finanziari sembrano impazziti, in Italia ci si consola parlando d’altro o ammettendo, tardivamente, che la crisi “sì c’è, ma andiamo un po’ meglio degli altri “. C’è poco da rallegrarsi. In questi giorni l’Istat consegna l'ennesimo bollettino di guerra sui dati occupazionali e delle crisi aziendali. I disoccupati sono ormai più di 2 milioni e un altro milione vive nelle incertezze della cassa integrazione.
Questa è la vera emergenza nazionale sulla quale però il governo non ha nulla da dire. Ben diverso invece il suo attivismo nell’opera di smantellamento dei diritti. Il Governo Berlusconi, sostenuto dai fedelissimi nordisti di Bossi, prosegue infatti imperterrito nella sua opera di stravolgimento del diritto del lavoro e di svuotamento della contrattazione collettiva.
Se lo Statuto dei lavoratori, entrato in vigore 40 ani fa, fu il compimento di una stagione di lotte per affermare la dignità del lavoro e dei lavoratori oggi viene cancellato il soggetto (il lavoratore) per affermare la centralità dell’impresa e del mercato. In questi anni di neo-liberismo il lavoro è stato sempre più trattato come una merce e sempre meno considerato strumento di progresso sociale oltre che economico: il passaggio da statuto dei lavoratori a statuto dei “lavori” indica proprio come l’impegno, la creatività e la fatica umana siano lontani dall’orizzonte politico della destra.
Invece, se si vuole contrastare il dilagare della precarietà e qualificare il nostro tessuto produttivo, bisogna ripartire dal concetto costituzionale del lavoro come strumento della dignità e libertà della persona. Perciò anche in tempo di crisi economica e di perdita di posti di lavoro l’obiettivo della piena occupazione è ancora più valido che in passato. L’idea che sia possibile aumentare l’occupazione abbassando il costo del lavoro e riducendo diritti e salario si è già dimostrata fallimentare ed è servita soltanto ad aggravare la situazione.
Quando i salari sono così bassi da non essere “sufficienti ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36 della Costituzione), quando ai lavoratori si richiede una totale subalternità agli interessi d’impresa, quando i lavoratori stranieri sono considerati ancora meno di una merce, quando il lavoro nero cresce persino nei settori del lavoro intellettuale, è evidente che il nostro modello di sviluppo si è inceppato e alla crescita economica non corrisponde più l’espansione del benessere delle persone.
Per un’alternativa credibile bisogna restituire dignità al lavoro, ripensare il modello di sviluppo, ridistribuire le risorse e investire prioritariamente nelle attività che creano occupazione, unificare i diritti per impedire la concorrenza sulla riduzione delle tutele e dei salari.
Per costruire un’alternativa al degrado civile, sociale e politico del nostro Paese bisogna ricominciare dal lavoro contrastando la sua svalorizzazione e la sua riduzione a merce.
Ripartiamo da qui per affermare condizioni di lavoro che non distruggano la dignità, il tempo e la vita stessa delle persone. VIVA IL 1° MAGGIO !
Nessun commento:
Posta un commento